Possiamo distinguere le sue componenti elementari:

– base osteoarticolare la cui origine è rappresentata da aree di varie grandezze in base a volumi, potenza e funzioni,

– ancoraggi osteotendinei su cui si fissano  altri muscoli della stessa catena muscolare,

– struttura variabile di volume a seconda dell’attività, dell’accorciamento, dell’allungamento delle singole fibre muscolari e degli altri muscoli contigui o in catena.

La sezione longitudinale del muscolo evidenzia l’andamento centrifugo antigravitario della contrazione (fig 2)

In assenza di movimento la tensostruttura del muscolo viene sollecitata solamente da forze meccaniche passive di tensionamento longitudinale dei tendini e delle inserzioni articolari e della propria area di origine.

La convessità della tensostruttura muscolare, passa attraverso un allineamento  per invertirsi in concavità e avvicinarsi sempre più all’area d’origine.

I liquidi extracellulari della matrice per destrutturazione,  compressione e spinta gravitaria vengono arricchiti da collagene, diminuendo la componente elastica e aumentando quella reticolare.

Tale fenomeno si aggiunge al lavoro delle forze meccaniche passive in gioco e accelera il processo di atrofia muscolare stratificando il muscolo sulla propria area d’origine.

Sempre osservando l’area della base di origine dei vasti e delle loro masse si capisce il perchè di tanta rapida atrofia con destrutturazione e discesa centripeta verso il femore in presenza di inattività muscolare .

La trazione meccanica delle aree d’origine si somma alla pressione gravitaria delle voluminose masse che andando ben oltre la linea posteriore del femore creano la spinta a fasciare completamente il femore aderendovi come una sella.

Se per immobilità viene a mancare la componente attiva per tempi che superano le due settimane, si avrà ipotrofia con abbassamento del ventre muscolare, tensionamento, e accorciamento del muscolo e di tutte le sue proprietà elastiche, irrigidendo così tutta la struttura.

In presenza di inattività muscolare verrà a mancare il pompaggio dei liquidi e il richiamo del microcircolo con grande ripercussioni sul circolo periferico e con possibile colorazioni cianotiche della cute fino ad arrivare a situazioni di vera e propria algodistrofia .

Si innesca così un “circolo” vizioso del nutrimento cellulare e rallentamento del microcircolo che accelera la destrutturazione di tutti i tessuti, sottocute compresa.

Più il tempo passa, più tutte queste componenti meccaniche passive si scaricano sulle parti fisse articolari, ma soprattutto sulle inserzioni e sulle  parti molli,  deformandole, inspessendole e indurendole.

Il muscolo non va più pensato come qualcosa che in qualsiasi momento possa essere attivamente e automaticamente sempre allenabile solo con grande volontà.Va immaginato nella sua struttura tridimensionale capace di farci capire tutti i meccanismi che intervengono nel processo di atrofia e algodistrofia.

Solo così si può comprendere quali e quante difficoltà incontreremo per mettere in atto un protocollo efficace, completo, che possa abbattere i tempi e raggiungere i massimi obiettivi possibili .

Tale trattamento dovrà iniziare con una terapia manuale trasversa profonda sul muscolo posto in accorciamento, sulle parti molli in allungamento, sulle cicatrici in tutte le direzioni. La terapia manuale è l’unico mezzo efficace per sbloccare e stimolare le parti più profonde e più resistenti del muscolo nonostante la massima volontà e l’impegno del paziente. Il movimento diventa così la verifica dei cambiamenti e dell’allenamento che avviene ogni volta con più mezzi e capacità, meno resistenza e dolore.

Sarà  indispensabile una kinesi manuale isocinetica, isometrica, isotonica ed eccentrica per poter accedere alle macchine di potenziamento  isotoniche-eccentriche ed aumentare così  l’elasticità  e il conseguente riallungamento del muscolo.

La stimolazione manuale della parte più profonda dei gruppi muscolari accessibili deve essere indicata nei  casi di impossibilità all’attivazione muscolare volontaria ( fratture di rotula ) per poter conservare elasticita’ e vascolarizzazione, e prevenire e limitare l’ipotrofia.

Altri particolari tecnici più dettagliati ma quanto semplici fanno da supporto al disegno della sezione longitudinale della tensostruttura alla sezione trasversa della coscia (fig. 2)  con le sole componenti dei vasti:

– vasto intermedio è 1/5 del vasto laterale

– vasto laterale con sezione 1/5 anteriore al femore ,2/5 lateralmente al f. ,2/5 posteriormente al f.

Il femore risulta decentrato anteriormente e lateralmente rispetto alla sezione della coscia: i tre quinti del vasto laterale vanno dalla linea centro  laterale del femore verso e oltre la linea posteriore dello stesso, il vasto laterale in conclusione avrebbe una sezione posteriore maggiore di quella anteriore

Il vasto intermedio (VI) pur avendo un volume non confrontabile con il VL, attraverso la sua vasta area d’origine innesca una grande forza di attrazione sulle masse contigue dei vasti.

Nasce così una somma di forze centripete che portano i vasti ipotrofici  a fasciare  completamente il femore, facendoli aderire ad esso e posteriorizzandoli.