“Il lavoro sul campo” se è manuale, pur sembrando ripetitivo non finisce mai di stupirti e di riempire il bagaglio di esperienza che va oltre ogni tipo di insegnamento. Ciò accade grazie a tutte le variabili patologiche di ogni paziente che si devono normalizzare e riadattare attraverso la nostra esperienza, volontà, intuito, perseveranza.

L’insegnamento deve scomporsi in azioni e modi talmente semplici e banali da richiamare e suggerire automaticamente il percorso riabilitativo tappa dopo tappa. Bisogna semplificare, non ingegnerizzare!   Bisognerebbe diffidare dei corsi di insegnamento di I°, II°, III° livello,  perché esulano dalla vera riabilitazione e soprattutto dall’evidenza, in medicina. La ricerca non deve essere un’esclusiva degli insegnanti, ma anche di figure professionali che hanno solo lavorato pensando che fosse il miglior investimento per se stessi, per il paziente e soprattutto per la professione.

Se vogliamo scendere più nello specifico suggerirei ai colleghi, anche futuri, (considerata la grande tendenza ad aspirare all’osteopatia), di investire la propria professionalità nei politraumi, nelle grandi cicatrici  chefungono da “lente d’ingrandimento” sui microtraumi e su tutte le patologie e sofferenze muscolo-scheletriche.  Solo trattando manualmente ed efficacemente tutti i tessuti dal più superficiale al più profondo, compresa l’articolazione, si potrà liberare tutto il potenziale riabilitativo.  I disturbi funzionali muscolo-scheletrici si possono affrontare solo con mezzi meccanici, cioè “noi con le nostre mani” e attraverso principi estremamente meccanici applicati con precisione, continuità, perseveranza. Durante l’azione meccanica le nostre mani devono acquisire sensibilità indagatoria sulla destrutturazione dei vari tessuti e dei loro riflessi automatici sulle catene muscolari, e una memoria ristrutturante per poter procedere nel percorso riabilitativo.

Tutto questo approccio fisico-sensitivo-meccanico diventa nel tempo sempre più personale,sempre più ricco (e ingombrante da trasmettere).  Data l’importanza della materia e il grande bisogno, vale la pena provarci, soprattutto con giovani neolaureati già vicini al trattamento fasciale.  Informazioni e mezzi corretti, completi ed efficaci si possono insegnare e consegnare a livello pratico e in tempi anche brevi. Ciò che non è possibile fare è trasmettere tutto un bagaglio d’esperienze. L’esperienza cresce nel tempo e si nutre di continua curiosità, continua ricerca del miglior accesso e migliore efficacia della manovra da eseguire con le proprie “mani”.   Ogni riabilitatore conseguirà una propria esperienza e seguirà un percorso tutto suo, personalizzato e diverso da qualunque collega, ma paragonabili, confrontabili, complementari a tutti gli altri. Tutto ciò può essere riassunto in “integrazione osteopatica”